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Francis Bacon

Chi sei tu …

che mi arrivi dentro i nervi, nel midollo delle ossa

viaggi nel mio sangue e porti battiti profondi nel mio cuore.

Non sono spettatrice dei tuoi intenti

ne invento altri che le immagini tue mi trasmettono.

sab

Ensor

Oggi ho sfogliato un vecchio libro d’arte moderna, le cui immagini conosco quasi tutte a memoria, e mi stupivo di come quello che provo oggi a guardarle sia così diverso da quello che provavo anni fa … 
Solo Ensor ha attirato la mia attenzione fra tutti … i suoi colori molto particolari … il suo blu inconfondibile , pennellate nervose e variegate , questi rosa e gialli un po slavati … quasi non mi soffermo sulle sue maschere che già di per se ne fanno l’unicità … sono presa dai suoi colori pastellati e vibranti 

 

 

James Sidney Edouard, Barone di Ensor (Ostenda, 13 aprile 1860 – Ostenda, 19 novembre 1949) è stato un pittore belga.

 

Introverso e misantropo, trascorse gran parte della sua vita nella sua città natale, dedicandosi ad una pittura che fu una delle manifestazioni più significative del periodo e che si pose al centro della cultura del tempo. 

Il distacco dalla visione naturalistica rivela nel pittore quella crisi del rapporto tra l’uomo e la natura e quella tendenza all’allusione simbolica tipica di tutta l’arte post-impressionista.
Questo processo di trasfigurazione della realtà è basato su di un linguaggio fatto di colori puri e aspri, con vibranti colpi di pennello interrotti che accrescono l’effetto violento dei suoi soggetti. La tavolozza si schiarisce ed appaiono elementi inquietanti come maschere, scheletri, spettri e demoni, usati per mettere in satira gli aspetti più tipici del mondo borghese. L’antica immagine della morte si nasconde dietro maschere spaventose, cariche di un simbolismo ambiguo ed ossessivo, tipico del clima decadente di fine secolo.
La vena grottesca oscilla tra ironia ed inquietudine in una specie di incubo in cui sogno e realtà si confondono anticipando il surrealismo. Per i suoi soggetti, Ensor prese spesso spunto dai vacanzieri di Ostenda, che lo riempivano di disgusto: ritraendo gli individui come clown o scheletri o sostituendo le loro facce con maschere di carnevale, rappresentò l’umanità come stupida, vana e ripugnante.
dal web

Confronto fra Brunelleschi e Donatello

Entrambi gli artisti realizzano dei crocifissi lignei.
Brunelleschi, che è orafo e scultore oltre che architetto,  lo ha realizzato per la chiesa di S.M.Novella a Firenze tra il 1410 e il 1415 ma pochi anni prima,  tra il 1406 e il 1408 , Donatello ne aveva fatto uno per la chiesa di S.Croce sempre a Firenze.
DONATELLO _ Ritratto
                                                                                                                                                     Il crocifisso del Brunelleschi è estremamente elegante nell’impostazione della figura; aveva pensato ad una visione da tanti punti di vista e aveva curato proprio la definizione della forma in modo che fosse visibile da tanti punti differenti.
Il dolore di Cristo è molto composto nell’espressione e dal modo in cui apre le braccia, da come tiene le gambe e il corpo sembra quasi di vedere un quadrato dentro un cerchio, come era solito applicare nelle sue costruzioni.
E’ un crocifisso inteso proprio come armonia di proporzioni nello studio della figura.
La tecnica è ancora quella medioevale del legno dipinto policromo.
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Il crocifisso di Donatello è molto diverso.
E’ più tozzo nelle proporzioni del corpo e più rude nel volto.
Come modelli, ci dice il Vasari, utilizzava ragazzi qualsiasi di Firenze però appare più credibile, più vero non perfetto come quello del Brunelleschi.
Quindi c’è proprio una differenza notevole di mentalità.
Donatello guarda a Giotto; nel volto l’espressione è atroce , fa impressione, è molto forte.
Anche nel costato è molto realistico il modo in cui sgorga il sangue, l’attaccatura dell’omero, i pettorali sono molto visibili.
Tutta una serie di dettagli che rendono il crocifisso di Donatello più attento alla realtà, all’anatomia.
Infatti quest’ultimo dà scandalo e, come diceva il Vasari, sembrava che avesse messo in croce un contadino.
Non è certo un’espressione nobile.
Eppure Donatello riesce , in questo modo, a portare il dolore di Cristo vicino alla gente comune.
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E questa è la grande differenza tra i due artisti.
L’uno attento alle proporzioni, all’eleganza, alla nobiltà dell’uomo cioè una concezione intellettuale in cui l’uomo è al centro del mondo.
L’altro decide di studiare l’uomo partendo dalla vita terrena.
Sab
 
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Le Corbusier – Nuova stagione architettonica

Dopo la realizzazione di villa Savoye Le Corbusier intraprende una nuova stagione architettonica, preannunciata nella sua pittura dall’inserimento di elementi figurativi,  che in seguito chiamerà “oggetti a reazione poetica”.
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Le Corbusier, nel ripensare lo  spazio domestico e ricercare soluzioni  a basso costo per una produzione in serie degli allogi,  mostra una sensibilità particolare verso la questione sociale dell’abitare.  I suoi progetti,  a partire dalle prime elaborazioni di Maison Dom-Ino,  mostrano un pensiero architettonico imprescindibile dalle considerazioni sulla città.
La Città contemporanea per tre milioni di abitanti (1922) è la dimostrazione della sua straordinaria  capacità di sviluppare gli aspetti urbani dell’architettura  e del suo perseguire l’ideale di città finalizzata all’umanizzazione della vita. Il materiale urbanistico dei suoi progetti è rappresentato da quelle che lui definisce le “gioie essenziali”: sole, spazio e verde; la città è pensata organizzata secondo una griglia ortogonale all’interno della quale gli uffici,  concentrati al centro,  vengono collocati all’interno di torri cruciformi di sessanta piani,  mentre le residenze si configurano  in blocchi,  le cosiddette Immeuble-Villas,  alte da dieci a venti piani,  caratterizzate da alloggi duplex,  ciascuno dotato di un giardino pensile.  Il resto della superficie urbana è occupato da verde rigoglioso e da ampi assi stradali ininterrotti per facilitare il traffico veicolare.
Un’evoluzione del prototipo di città ad alta densità è il progetto di Ville Radieuse (1931),  città lineare caratterizzata da un’estensione illimitata e suddivisa in fasce parallele:  gli uffici in alto,  la residenza al centro,  l’industria in basso.  Il tutto è separato da ampie strade a scorrimento veloce, oltre che da enormi aree verdi che occupano ben l’88 % della superficie complessiva.
Il principale fattore innovativo introdotto in questa città rispetto alla Città contemporanea riguarda la tipologia abitativa proposta.
Il blocco dell’Immeuble-Villa viene abbandonato a favore del blocco cosiddetto à redent (case a schiera dal prospetto alternativamente arretrato o allineato con il fronte stradale),  forma edilizia più economica e idonea per le abitazioni di massa,  che con il suo sviluppo lineare meglio si confà all’idea di una fascia continua occupata da residenze.
Alla base di questo nuovo modello di città c’è inoltre l’idea di sopraelevare ogni edificio,  ma anche le strade,  su pilotis,  per fare della superficie del terreno un parco continuo rigorosamente al servizio dei pedoni.
Per la città di Rio de janeiro  e qualche mese dopo anche per la città di Algeri,  l’architetto propone un piano di ampliamento che si configura come un’imponente infrastruttura costiera sopraelevata la quale , oltre a un’autostrada,  contiene numerosi piani da destinare a “luoghi artificiali” per uso residenziale.
Si tratta però delle ultime proposte urbane caratterizzate da una certa enfasi monumentale,  quelle che seguiranno lo vedranno propendere per soluzioni meno idealizzate,  più pragmatiche.
E anche quando,  nel 1950,  viene invitato a disegnare il piano generale per la città di Chardigarh,  in India,  Le Corbusier condenserà la vocazione monumentale dei precedenti piani urbanistici nel complesso rappresentativo del Campidoglio.
Le proposte per i piani di ampliamento di Rio e Algeri,  con la loro configurazione sinuosa,  introducono a quella che è considerata una svolta nella poetica dell’architetto:  l’abbandono progressivo dello stile astratto e austero dell’estetica purista,  la perdita di fiducia nei confronti dei progressi raggiunti dalla tecnica industriale .
Da questa riscoperta dell’ordine naturale delle cose scaturiscono architetture definite “brutaliste” per l’uso diretto di materiali,  come pietrisco grossolano,  legno non rifinito,  mattoni a faccia vista e in particolare béton brut,  ovvero cemento grezzo.
Fra i risultati più maturi e complessi della nuova estetica brutalista  troviamo l’Unité d’Habitation (1947 -1952) realizzata a Marsiglia per soddisfare,  con i suoi diciotto piani e trecentotrentasette appartamenti duplex,  la carenza di alloggi del dopoguerra.
Si tratta di un imponente monolite,  in cui ogni parte è dimensionata in funzione delle misure dettate dal Modulor,  un sistema di proporzioni sviluppato da Le Corbusier stesso a partire dalle misure del corpo umano.
Ciò che ne deriva è un monumentale transatlantico che si impone sulla scena urbana come un vero e proprio “condensatore sociale”,  in cui oltre agli alloggi per milleseicento abitanti trovano spazio un centro commerciale,  un albergo e un tetto attrezzato come spazio-gioco per bambini;  il tutto dimensionato secondo le perfette proporzioni della scala umana e disegnato con una certa libertà gestuale.
Più spazio alle emozioni
Un’altra architettura che riassume il senso della ricerca corbusieriana degli anni Cinquanta è il convento domenicano di La Tourette (1953 -1960) costruito vicino a Lione.
Qui, al rigore assoluto imposto dalla committenza si unisce la ricerca di quello che Le Corbusier  chiama lo “spazio ineffabile”, ovvero il “compimento dell’emozione plastica”,  ottenuto grazie a un sapiente uso della luce come materiale costruttivo;  catturata da “cannoni di luce”,  questa irrompe negli ambienti trasformando l’essenziale nudità che li caratterizza in enfasi poetica.
Ma l’architettura che più di ogni altra simboleggia il raggiungimento dello “spazio ineffabile” è la cappella di Ronchamp (1950 – 1955), che l’architetto progetta lasciandosi guidare dalle suggestioni offerte dal contesto : un’architettura dalle forme scultoree,  le cui curve,  nel rivolgersi ai quattro punti cardinali,  generano una spazialità “pulsante”,  che all’interno avvolge i fedeli e all’esterno abbraccia l’universo naturale.
L’aspetto più noto di Le Corbusier è sicuramente quello dell’architetto teorico del Razionalismo europeo che definì  il nuovo modo di intendere la progettazione, segnando la nascita dell’architettura moderna, ma egli fu in realtà un artista globale, per il quale il concetto di integrazione e unificazione di tutte le forme d’arte, pittura, scultura, disegno, progettazione architettonica, decorazione era basilare ed  irrinunciabile, fondato su uno stesso agire concettuale e creativo.

Tesina Sab

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La poesia delle bottiglie – Giorgio Morandi

Oggi vi parlo di un pittore che mi ha sempre molto affascinato.
Nel corso della sua vita Giorgio Morandi ha dipinto quasi sempre bottiglie e barattoli.
Ne aveva di ogni forma e dimensione raccolte nella sua umile casa che rispecchiava la sua indole solitaria e semplice.
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Non mi stanco mai di ammirare questi “paesaggi dell’anima” come mi piace definirli in cui le ricerche infinite e quasi maniacali sulle forme, lo spazio e i colori neutri rispecchiano la sua natura interiore .
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Una ricerca  che mette da parte la profondità e la prospettiva per dar spazio a relazioni più intime dove il volume prende corpo dalle sottili differenze cromatiche e dai contorni a volte impercettibili delle forme .
 
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Una dimensione che va al di là della realtà oggettiva e porta concretezza nel “sentire profondo” .
Un oggetto e uno spazio che si fondono in un piano unico ma corposo e avvolgente.

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Tonalità di grigi, rosa, marroni e bianchi non urlati ma tenui che si rinnovano in ogni immagine .
 Un unico tema che non esaurisce mai le infinite espressioni e impressioni del suo animo.

Sab

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Le Corbousier – Gli esordi

Le Corbusier, pseudonimo  di Charles Edouard Jeanneret , nacque nel 1887 nella città svizzera di La Chaux- de-Fonds ,patria di orologiai, situata nel Giura vicino alla frontiera francese .
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La madre, musicista, era molto interessata alla natura matematica della musica e il padre , calvinista e incisore di orologi , era dedito a pratiche ascetiche e molto probabilmente le radici familiari  di Le Corbusier devono aver influito nella definizione della sua poetica architettonica.
Una delle prime immagini della sua adolescenza deve essere stata la griglia estremamente razionale di  Chaus-de-Fonds , città industriale il cui rigore e ripetitività devono aver certamente contribuito a formare nel giovane architetto un’idea di città fondata su un ordine geometrico e razionale.
Le Corbusier inizia  la sua formazione come disegnatore-incisore presso la scuola locale di arti e mestieri  e dapprima si interessa alle forme decorative tridimensionali e  in un secondo momento all’architettura, spinto dal suo maestro Charles L’Eplattenier che insegnava ai suoi allievi a trarre ispirazione per i propri ornamenti dagli elementi naturali locali .
Nell’autunno del 1907  Le Corbusier fu inviato a Vienna a compiere l’apprendistato presso lo studio di Hoffmann del quale però rifiuta subito il linguaggio Jugendstil ( la declinazione austro-tedesca dell’Art Nouveau ).
Questo disinteresse nei confronti dello Jugendstil ormai in declino fu rafforzato da un incontro con Tony Garnier  avvenuto a Lione nell’inverno del 1907,  proprio  quando Garnier si accingeva ad ampliare il suo progetto del 1904 per una Cité industrielle.
Le simpatie di Le Corbusier per il socialismo utopistico e la sua  predisposizione ad un approccio tipologico all’architettura, risalgono sicuramente a questo incontro .
Nel 1907 oltre all’incontro con Garnier , Le Corbusier compì anche una visita determinante alla Certosa di Ema , in Toscana.  Là egli sperimentò per la prima volta la “comunità” vivente che doveva diventare il modello socio-fisico della sua personale reinterpretazione di quelle idee utopiche socialiste che aveva ereditato in parte da L’Eplattenier e in parte da Garnier .
Nel 1908  Le Corbusier ottenne un impiego part-time, a Parigi,  presso Auguste Perret , che aveva già raggiunto una certa fama grazie all’utilizzazione della struttura in cemento armato in un edificio residenziale,  la casa d’abitazione da lui costruita nel 1904 in Rue Franklin .
I quattordici mesi che Le Corbusier trascorse a Parigi gli schiusero una visione della vita e del lavoro del tutto nuova : oltre ad apprendere le nozioni fondamentali della tecnica del cemento armato, la capitale gli offrì l’occasione di allargare la sua conoscenza della cultura classica francese, visitando i musei, le biblioteche e le sale di lettura della città.
Contemporaneamente, con grande disapprovazione di L’Eplattenier, egli si convinse sempre più che il béton armé era il materiale del futuro:  ciò grazie al contatto con Perret che apprezzava la struttura in cemento per la sua natura monolitica e malleabile e per la durata e per l’intrinseca economicità.
L’impatto di tutte queste influenze diverse si riscontra dal progetto  che Le Corbusier elaborò per la sua scuola, al ritorno a La Chaux-de-Fonds nel 1909.
Nel 1910 Le Corbusier si reca in Germania,  per migliorare la sua conoscenza della tecnica del cemento armato e per studiare lo stato dell’arte decorativa (su incarico della Scuola d’Arte di Chaux-le-Fonds ) .
Qui lavora per qualche mese presso lo studio del grande architetto tedesco Peter Behrens progettista della fabbrica di turbine Aeg ( la compagnia elettrica di Berlino )  ed entra in contatto  con  la Deutesche Werkbund associazione che si dedica al miglioramento dell’istruzione artigianale .
Per Peter Beherens la padronanza del mestiere e l’economicità costituivano la base di una buona progettazione. Inoltre Beherens eserciterà una forte influenza su due delle ultime opere di Le Corbusier  a La Chaux-le-Fonds,  la villa Jeanneret Père del 1912 e il cinema Scala del 1916 .
In Germania Le Corbusier prende coscienza degli straordinari risultati ottenuti dall’ingegneria moderna , le navi,  le automobili , gli aerei  e i grandi silos  ed edifici industriali dalla struttura in béton armé  e si convince che è questo il materiale del futuro, l’espressione del progresso .
Alla fine dell’anno , dopo il periodo trascorso nello studio di Beherens, dove di certo deve aver incontrato  Mies van der Rohe ,  egli lascia la Germania per assumere un incarico d’insegnamento a La Chaux-de-Fonds , offertogli da L’Eplattennier ;  prima di tornare in Svizzera , tuttavia , compì un lungo viaggio nei Balcani , in Italia e in Asia Minore: da quel momento l’architettura ottomana avrebbe avuto un’influenza  sulla sua opera, come testimoniano gli appunti lirici del 1913 ( Il Voyage d’Orient ).
Nel 1913 egli aprì il proprio studio a La Chaux-de-Fonds ,  con l’intento di specializzarsi in béton armé .
Nel 1915 ,  insieme ad un amico d’infanzia,  l’ingegnere svizzero Max du Bois ,  Le Corbusier elaborò due idee che avrebbero caratterizzato la sua evoluzione nel corso degi anni Venti :  reinterpretò la struttura Hennebique in quella Maison Dom-Ino  che doveva costituire la base strutturale della maggior parte delle sue case fino al 1935 , e concepì le Villes Pilotis , città ideate per essere costruite su piloni , secondo un ‘idea derivata dalla strada sopraelevata della Rue Future di Eugène Hénard , del 1910.
Hennebique , costruttore francese autodidatta , iniziò ad usare il  calcestruzzo nel 1879. Egli svolse allora un vasto programma di ricerca privata prima di brevettare , nel 1892 , il proprio sistema , di portata straordinariamente vasta . Prima di lui ,  il grande problema del ferro-cemento era stato la preparazione di una giunzione monolitica e Hennebique superò questa difficoltà grazie all’uso di sbarre a sezione circolare che potevano essere incurvate ed agganciate insieme : solo il suo sistema prevedeva la piegatura dei ferri dell’armatura e la legatura delle giunzioni con staffe per resistere agli sforzi locali.  Con il perfezionamento della giunzione monolitica si potè realizzare la struttura monolitica ,  che condusse celermente alla prima applicazione su vasta scala di tale sistema nei tre filatoi costruiti nel 1896 .
Il progetto della Maison Dom-Ino,  elaborato a partire dal 1914,  è di fondamentale importanza perché in pochi segni anticipa e sintetizza l’essenza dell’architettura moderna .
E’ un sistema strutturale caratterizzato da un’ossatura in cemento armato che consente di articolare la pianta e i prospetti dell’edificio in maniera indipendente dalla struttura .  Da tale sistema discendono principi estetici innovativi come la finestra a nastro , la pianta e la facciata libera ( ovvero indipendenti dalla struttura portante ), le coperture piane .
Ma le implicazioni del sistema Dom-Ino non sono soltanto architettoniche ,  sono anche urbanistiche . Ideato per essere estensibile –  come le tessere dell’omonimo gioco prevede , infatti , la possibilità di assemblaggio secondo molteplici combinazioni  –  ,  il sistema era pensato per una produzione in serie , a basso costo ,  da impiegare nella realizzazione di quartieri popolari .
Il 1916 segnò il culmine della sua carriera giovanile a La Chaux-de-Fonds,  grazie alla costruzione della villa Schwob,  una sintesi straordinaria di tutto ciò che egli aveva tanto a lungo sperimentato,  caratterizzata in primo luogo da una elaborata assimilazione delle potenzialità spaziali del sistema Hennebique, consentendogli di sovrapporre a una struttura a telaio elementi stilistici tratti da Hoffmann e Perret.
Questa fu la prima occasione in cui Le Corbusier concepì una casa in termini celebrativi,  cioè come un palazzo.  Il sistema di campate alternativamente lunghe e strette,  nonché l’organizzazione simmetrica della pianta,  diedero alla villa Schwob una struttura  palladiana.

Tesina Sab

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Le avanguardie storiche

Espressionismo: Fauve e Die Bruke
Il periodo delle Avanguardie comincia , convenzionalmente, nel 1905 e va avanti fino la Seconda Guerra Mondiale
Il 1905 è segnato da due eventi  artistici importanti.
A Parigi si tiene il Salone d’Automne dove espone un gruppo di pittori che vengono definiti dalla critica: Fauve (Bestie feroci) perché scelgono dei colori che creano dei contrasti particolarmente violenti e  scandalizza il ritratto della signora Matisse con la riga verde al centro.
 
Signora Matisse – Matisse (altro…)

Come si realizza un affresco

L’affresco veniva chiamato “buon fresco”.
Si basa su un procedimento chimico ( a differenza di tutte le altre tecniche) che si chiama Carbonatazione della calce.
Per avere un affresco bisogna lavorare d’inverno quando c’è maggiore umidità perché la parete deve asciugarsi lentamente.
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All’epoca di Giotto c’era una tecnica derivata dal mondo bizantino che si chiama Tecnica a pontate ( ponteggi).
Secondo questa tecnica, che si trova negli affreschi più antichi bizantini, il pittore stabiliva l’area, montava il ponteggio solo su un pezzo di parete e la affrescava in giornata.
Il giorno dopo spostava l’impalcatura e faceva un altro pezzo vicino cioè di procedeva geometricamente e quindi si vedevano le giunture.
Per procedere alla realizzazione tecnica di un affresco prima di tutto bisogna passare dell’ammoniaca per uccidere le muffe sulla parete e sgrassarla e pulirla, scalpellarla in modo che faccia presa.
Poi si mette un primo strato di malta molto grossolana che si chiama Rinzaffo che è una sabbia mista a pietrisco  grosso in modo che sia molto ruvido.
Su questo si stende un secondo strato di intonaco un po più fine che si chiama Arriccio.
Sull’arriccio si esegue il disegno.
Si faceva la quadrettatura sul foglio dove c’era il disegno.
Poi si prendevano dei fili che si sporcavano nella polvere di carbone e due operai ai due lati della parete li tiravano e battevano (battitura del carbone) in modo che si formasse una griglia fatta a carbone sulla parete e si ingrandiva il disegno.
Quando il disegno era sulla parete si procedeva a dare, nella parte dove c’era il ponteggio (parte pontata), lo strato vero e proprio di malta (prima si incideva il disegno con una punta metallica in modo che emergesse dalla malta) che si chiama Tonachino perché è un intonaco molto fine e liscio.
A questo punto si procede a dare il colore vero e proprio.
Il colore è fatto di puro pigmento stemperato in acqua, eventualmente con l’aggiunta di latte(acqua) di calce.
Si danno delle pennellate e non si può sbagliare altrimenti bisogna rifare tutto il procedimento.
E’ una tecnica molto delicata.
L’intonaco che è stato messo sotto è fatto di calce spenta che in chimica si chiama Idrossido di calcio.
Questo idrossido di calcio reagisce asciugandosi con l’anidride carbonica che c’è nell’aria e avviene questa reazione chimica che è la carbonatazione della calce per cui l’idrossido si trasforma in carbonato di calcio che è una  pietra, è come se fosse un minerale e butta fuori acqua, vapore acqueo, trasuda la parete.
Quindi il colore rimane impregnato nella parete ed è per questo che dura così tanto e non ha bisogno di altri leganti perché la calce è già un legante.
Quindi tra tutte le tecniche artistiche sviluppatesi nei secoli è la più sicura e quella che dura di più in assoluto in condizioni climatiche ottimali.
Non tutti i colori si possono usare per l’affresco proprio perché i colori hanno delle proprietà chimiche particolari, ad esempio tutti i blu e gli azzurri vanno dati a secco a tempera alla fine dell’affresco.
I colori si possono mescolare tenendo conto delle loro proprietà, per esempio i colori che contengono piombo non possono andare insieme a quelli che contengono solfuri altrimenti si anneriscono (Cimabue).
Con Giotto siamo negli anni in cui si sperimenta e lui è uno di quelli che decide di aderire alle novità.
Giotto non usa più la tecnica a pontate ma a giornate che è una vera e propria rivoluzione nel senso che ,una volta fatto il disegno sopra l’arriccio, si procede diversamente.
Il procedimento dei fili sporchi di carbone verrà poi sostituito con lo Spolvero in cui si incollano tantissimi fogli, si bucherellano, si passa del carbone in polvere e rimane il disegno.
La novità della tecnica a giornate è che una volta finito il disegno, si da l’intonaco sottile solo sulle figure che si decide di fare in quella giornata e non su una parte di parete.
Questa è una grande differenza perché non si vedranno più i segni geometrici sulla parete ma si vedranno le differenze tra una figura e l’altra .
Quando poi l’intonaco si asciuga , si vede la differenza nei punti di lavoro fra due giornate di lavoro perché c’è un po di rilievo .
La tecnica a giornate è già presente ad Assisi.

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Piccolo sguardo al Ritratto attraverso i secoli

” … il pittore cattura un’espressione fuggevole, un momento dell’età, un moto dell’anima e li fissa per sempre sulla tela … “.
Il ritratto rimane così al di la del tempo e dello spazio.
Nelle Corti tardo – gotiche, a differenza di quanto si sosteneva nel Medioevo, si pensa che l’aspetto terreno è degno di essere riprodotto indipendentemente da altri contesti narrativi e religiosi e si cerca la verosimiglianza.
Van der Weyden (altro…)

San Francesco che dona il mantello – Giotto

Intorno al 1290 Giotto affresca la Basilica Superiore di Assisi su richiesta dei Frati con Storie di S. Francesco.

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La Basilica ha un’unica navata e il transetto a croce commissa ad aula .
Entrando sia a destra che a sinistra si vedono le due file di affreschi di Giotto. Nell’angolo a sinistra del transetto ci sono quelli di Cimabue.
La scelta di Giotto è innovativa. Ci sono 28 scene quadrate con 28 episodi della vita di S. Francesco.
I quadri sono separati da finte colonnine a simulare un portico oltre il quale si svolgono le scene della vita di S. Francesco.
Infine sotto nello zoccolo c’è un finto velario , un drappo dipinto a disegni a scacchiera con fiori.
Le fonti. A Giotto vengono dati due testi: La Leggenda Major in latino di Bonaventura (filosofo francescano) e I fioretti di S. Francesco che hanno diffuso gli episodi fra la popolazione .
I Frati gli hanno anche dato indicazioni su come realizzare le opere ma Giotto è già piuttosto indipendente.
Analizziamo S. Francesco che dona il mantello.
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In questa scena non c’è più il fondo oro; non c’è più niente di Bisanzio.
I primi segnali di questo cambiamento li avevamo già avuti con Cimabue.
Le diagonali e la mediana del quadrato si incrociano proprio sull’aureola della testa del santo che diventa quindi l’asse focale della composizione.
E’ assolutamente moderno il concetto di equilibrio e di insieme che si fa in progettazione.
S. Francesco sta donando il mantello. Il povero si abbassa in segno di ringraziamento e di umiltà, quindi c’è attenzione ai gesti e ai sentimenti come aveva imparato da Cimabue.
Poi c’è la profondità. Sembra di poterli toccare i vestiti ; c’è il chiaro scuro che da plasticità ai volumi.
Prima c’erano i tocchi in oro , adesso sembrano tridimensionali.
C’è un po di oro solo nell’aureola di S. Francesco.
A sinistra il cavallo bruca l’erba; un gesto molto naturale e realistico.
Nell’arte bizantina non si erano mai visti animali; è la prima volta che compare un cavallo.
I profili delle montagne sono simbolicamente terminanti a destra con un edificio religioso e a sinistra con la città: i due poteri.
Simbolicamente S. Francesco è il tramite tra i due poteri cioè è quello che ha portato la parola della Chiesa, la parola sacra tra la gente comune.
I due monti segnano le diagonali. Non c’è più fondo oro ma c’è l’azzurro del cielo.
Un’altra innovazione è che gli edifici sono visti di scorcio; c’è profondità, c’è un tentativo di prospettiva.
Non c’è ancora un punto di fuga ma c’è un asse verso cui confluiscono le rette (che è la tecnica di Pompei).
La prospettiva è ancora intuitiva.
Non quadrano ancora gli alberi che sembrano cespugli cioè le proporzioni degli alberi non sono corrette dal punto di vista spaziale , prospettico e poi mancano le ombre sotto i piedi.
Il passaggio dalla cultura bizantina non è facile; si passa da una mentalità tutta rigida e simbolica in cui la realtà non conta niente.
Per la prima volta, Giotto cerca di introdurre un po di realtà.

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L’innovazione di Giotto

Giotto viene collocato cronologicamente tra il 1267 e il 1337, quindi è un pittore del ‘300, ed è il più grande pittore di questo secolo, italiano e d’Europa.
Giotto
La sua grandezza è testimoniata dalle parole che di lui ci dicono tre personaggi.
1)      Il Boccaccio: “Lo miglior dipintor del mondo” dal Decameron
2)      Dante nel Purgartorio – 11° Canto:  “Credette Cimabue …. La fama ora ce l’ha Giotto e nessuno si ricorda più di Cimabue”.
Quindi tutti ritenevano Giotto molto importante.
3)      Cennino Cennini, noto scrittore del  1300 che ha sscritto un libro dell’Arte che è un ricettario pittorico.  E’ lui che ci dice come si fanno gli azzurri e come si mescola il colore e disse che Giotto fu colui che rimutò l’arte del dipingere di graco in latino e ridusse al moderno, ed ebbe l’arte più compiuta che avesse mai nessuno.
Vuol dire che Giotto trasformò l’arte del dipingere dal greco bizantino al mondo romano cioè ha fatto rinascere l’arte degli antichi romani.
In effetti la brillantezza dei colori, per esempio, si ricollega alla tradizione degli affreschi romani.
Quindi tutto ciò ci dice che Giotto è il più grande artista mai visto fino a questo momento in pittura e diventerà ricco e molto richiesto e girerà tutta la penisola chiamato dalle principali città.
Giotto corrisponde a quello che è stato Dante per la letteratura italiana.
Dante ha creato una tradizione tipicamente italiana, il volgare italiano e gli ha dato dignità.
Giotto ha creato un linguaggio pittorico tipicamente italiano e non più bizantino.
La sua produzione artistica si può suddividere in fasi perché il suo stile si è evoluto nel corso del tempo.
Nella prima fase opera principalmente ad Assisi dove affresca la Basilica Superiore intorno al 1290 e a Firenze, ricordiamo il Crocifisso della Chiesa di Santa Maria Novella (1285 -1290).
Poi successivamente si sposta a Padova, dove affresca la Cappella degli Scrovegni nei primi anni del ‘300.
La terza fase è attivo ancora a Firenze (1320 – 1325) dove affresca le Cappelle Perruzzi e Bardi.

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L’architettura di Le Corbusier – Villa Savoye

Analisi di un’opera:
Villa Savoye a Poissy, Francia, 1928 -30
 Sala savoy
Una residenza  per il fine settimana ubicata nel verde sobborgo parigino di Poissy, Villa Savoye rappresenta l’apice dello stile purista di Le Corbusier.  Dal punto di vista spaziale, il progetto sfruttava a pieno le possibilità offerte dalle costruzioni con struttura in calcestruzzo che alla Mostra  Weissenhof di Stoccarda l’architetto svizzero aveva articolato nei celebri “cinque punti per una nuova architettura”:
  1. Le colonne, i pilotis, sollevano la casa, nell’aria, lasciando sgombro il terreno sottostante che può essere utilizzato da persone e autoveicoli.
  2. Un giardino pensile ricavato sulla copertura piana supplisce alla perdita di terreno disponibile determinata dallo sviluppo edilizio.
  3. Prolungando i pilotis e trasformandoli in uno scheletro strutturale, le pareti divisorie possono essere organizzate nello spazio in piena libertà, creando il cosiddetto plan libre.
  4. Le finestre possono essere estese a piacere in lunghezza, senza una diretta relazione con la suddivisione interna, ottenendo così una facciata libera.
  5. L’impiego di lunghe aperture orizzontali – le finestre a nastro – permette di conseguire un’illuminazione più omogenea.
Sul piano formale, l’abitazione richiama Villa Capra del Palladio, meglio nota come “La Rotonda”, di cui rielabora la planimetria centralizzata di matrice classica: anche qui la pianta è quadrata e l’edificio si apre al panorama circostante attraverso finestre a nastro continue. Tuttavia, al posto di una stanza centrale, un fulcro compositivo volto a creare un senso di chiusura, Le Corbusier colloca una rampa, la base di ciò che definiva la promenade architecturale. Analogamente, il quadrato è scandito da un sistema di campate 4 x 4 “improprio” dal punto di vista del lessico classico (dove dovrebbe trovarsi una campata aperta è collocata una colonna) e l’edificio, a sua volta, non è esattamente quadrato, essendo allungato dai travi a mensola lungo la direzione di arrivo per rafforzare l’idea di un asse principale.
L’entrata si trova sul versante posteriore della casa e vi si giunge seguendo una superficie curvilinea di vetro, il cui raggio è stato definito dal diametro minimo di sterzata di un’auto.
Attraverso una apertura centrale si passa nel vestibolo, da cui si diparte la rampa che sale verso i piani superiori con continui cambi di direzione. Il soggiorno comunica direttamente con la terrazza grazie a una vetrata a tutta altezza di  quasi 10 m.,una metà della quale può essere fatta scorrere lateralmente.
 
La passeggiata architettonica prosegue dalla terrazza mediante la rampa e giunge, in asse con la veduta verso la Senna, al solarium, cinto da una parete il cui piano evoca la sagoma di una chitarra di un dipinto cubista. Sebbene piantumato a verde, richiama il ponte di una nave, un’immagine rafforzata dall’impiego di ringhiere di tipo nautico in tubolare di acciaio tinto bianco e dalla presenza di curioso vano imbutiforme in cui è alloggiata la scala
Sebbene l’ordinata griglia di colonne e le latenti simmetrie siano il sintomo di una disciplina formale di chiaro stampo classico, nello spirito della nuova libertà dell’organizzazione in pianta l’ordine architettonico è ovunque attento alle esigenze d’uso e alla presenza degli occupanti.
In Villa Savoye, il principio squisitamente moderno del decentramento compositivo – marcato dalla maglia delle colonne, rinforzato dall’articolazione degli spazi principali attorno alle estremità della composizione (come se propagati dalla rampa) ed espresso dalle finestre a nastro – viene impiegato per creare una progressione dal basso verso l’alto e verso l’esterno che instaura un dialogo costante con il paesaggio e il cielo, mirando alla fusione con il contesto naturale.
Villa Savoye costituisce l’espressione spontanea della “sintassi chiara” elaborata nel corso dei dieci anni precedenti da Le Corbusier, proprio nel momento in cui il linguaggio unificato dell’architettura purista era in procinto di essere abbandonato.

Tesina Sab

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Sandro Botticelli e La Primavera (1478 – tempera su tavola – Uffizi –Firenze)

Nello scritto precedente si diceva che esisto due tipologie di Veneri:  Pandemia o terrena e Urania o Celeste.
Si pensa che nel dipinto La primavera, Sandro Botticelli abbia rappresentato la Venere Pandemia.
 
Come si diceva, alla Corte di Lorenzo il Magnifico torna in auge la figura mitologica e si cerca di conciliare mondo pagano e mondo cristiano.
Questo quadro ha avuto tanti titoli, tra cui quello di “ Il giardino di Venere”.
Nel 1800 prevale l’idea che esso rappresenti  un’allegoria della primavera per cui è rimasto il titolo La Primavera.
Giorgio Vasari, che vide il quadro nella villa De Medici, espone diverse ipotesi sul significato dell’opera.
La prima ipotesi  è che il quadro sia un’allegoria dei mesi primaverili.
Come prova di questo c’è il fatto che la scena si svolge in un aranceto e sotto ci sono tutte le varietà di fiori , che gli studiosi hanno analizzato, che sono proprio i fiori che fioriscono nei mesi di Marzo, Aprile e Maggio e che quasi tutti erano presenti nel giardino di Villa de’ Medici.
 
La seconda ipotesi è che il quadro fosse un omaggio al poeta contemporaneo Angelo Poliziano, il più importante poeta della Firenze del ‘400.
Poliziano aveva scritto un poema celebrativo  “Stanze per la giostra di Giuliano de’ Medici”(parente del Magnifico morto in giovane età).
In questo poema c’è proprio un passo in cui si descrive il giardino della primavera, con le Grazie , dove il tempo non arriva mai.
 
La terza ipotesi  è stata avanzata da Gombrich, uno studioso tedesco di storia dell’arte (Iconologia).
Egli diceva che se il clima culturale era quello neoplatonico , bisognava forse vedere se nel quadro c’era un’allegoria del Neoplatonismo.
Questa ipotesi si può , a sua volta, dividere in due filoni.
Nel primo filone tutti i personaggi vanno letti da destra verso sinistra. Ci sono tre gruppi di personaggi.
All’estrema destra c’è Zeffiro che è il vento di primavera che rapisce la ninfa Floris che, fecondata, si trasforma in Flora dea della primavera; la mano di Floris è quasi trasparente e si fonde con la figura di Flora ( questo si nota dagli ultimi restauri).
 
 
 Al  centro c’è Venere con sopra suo figlio Cupido e altre tre figure femminili che sono le Tre Grazie.
L’ultimo personaggio a sinistra , che sta scacciando le nubi con un bastone con due serpenti, è Mercurio (il caduceo è il bastone tipico di Mercurio).
Tutti i personaggi potrebbero proprio corrispondere,  secondo Gombrich,  a Marzo  sulla desta, Le Grazie ad Aprile e Mercurio a Maggio; infatti il vento di Zaffiro comincia a spirare proprio in Marzo e Mercurio è figlio della dea Maja da cui il mese majus (Maggio).
Si potrebbe ipotizzare che Venere sia la forza dell’amore che fa fiorire e rigenerare la natura; Venere è la madre delle Tre Grazie e rappresenterebbe in questo caso, siccome è messa nel giardino, Madre Natura.
Ma Gombrich va oltre e si chiede, visto che il clima è quello neoplatonico, se le figure non possano in realtà rappresentare i vari stadi dell’amore.
Allora Zeffiro che rapisce Floris e che poi trasforma in Flora, rappresenterebbe la prima fase dell’amore in cui l’uomo vede il corpo della persona amata, quindi è la fase dell’amore sessuale.
Al centro allora avremmo la Venere Pandemia, terrena che benedice la scena con la mano e infatti l’amore è sotto la sua protezione, ecco perché Cupido sta per scoccare la freccia.
 
L’amore poi si eleva(come diceva Marsilio Ficino) e infatti , dalla contemplazione della bellezza del corpo, si passa anche alla contemplazione della bellezza interiore della persona; è uno stadio più alto dell’amore.
Poi, alla fine della contemplazione della bellezza della persona, si contempla la sua anima e poi l’anima di tutti gli uomini fino ad arrivare a Dio.
Quindi , le Tre Grazie rappresenterebbero l’amore per l’interiorità, per l’anima e infatti la fonte che probabilmente ha utilizzato il Botticelli per dipingere le Tre Grazie, sono delle parole di Seneca (filosofo romano morto sotto Nerone) appartenente alla corrente dello Stoicismo.
Seneca diceva che delle Tre Grazie la prima da il favore, la seconda lo riceve e la terza lo restituisce.
In realtà intrecciano le mani ed è proprio segno di concordia fra di loro.
Se diamo una lettura cristiana, questo diventa l’amore disinteressato, quindi un livello più alto di amore.
Mercurio infine scaccia le nubi con il caduceo e guarda verso l’alto, verso il cielo, verso il mondo delle idee, verso il mondo dove c’è Dio, quindi un livello ancora più alto di Amore.
Nel secondo filone  Gombrich va avanti in un’altra interpretazione e dice di guardare meglio la figura di Venere Pandemia che fa scaturire innamoramento , e dice che si può aggiungere anche un altro significato che è quello morale.
Intende dire che la Venere rappresenta anche un invito morale a scegliere i valori dell’Humanitas  (la fonte deriva da Apuleio nel lo scritto L’asino d’oro).
Humanitas significa avere grande cultura, raffinatezza e amare e rispettare l’uomo con le sue manifestazioni.
La prova di questo fatto l’abbiamo da una lettera scritta da Ficino a Lorenzo da Pierfrancesco in cui si diceva: “Scegli anche tu come fece Paride che scelse (l’Humanitas) Venere  ; questo era un invito al buon governo , alla correttezza e Botticelli era al corrente di questa lettere perché era amico di Ficino.
 
Quindi, secondo Gombrich, Botticelli riporta l’Humanitas nel suo quadro.
Questa ultima è l’ipotesi più accreditata.
Quarta ipotesi  . Nel 1997 l’Italiana Claudia Villa ha proposto una nuova interpretazione.
Marziano Capèlla ( IV –V sec. d.c.) era un poeta africano della fine dell’Impero Romano che aveva scritto un poema  “ Le nozze di Mercurio e Filologia”.
Per tutto il Medioevo e il ‘400 tutti lo leggevano, era in tutte le biblioteche, per cui non sarebbe sbagliato fare riferimento a qualcosa che tutti conoscevano.
In base a questa interpretazione,  la primavera Flora sarebbe la Retorica perché in latino si chiamano flores (fiori) le belle parole (flores retorica).
Quindi una figura che sparge fiori può voler dire : la retorica che sparge le sue belle parole sulla pagina.
E’ un’ipotesi che sconvolge completamente il clima e la scena; la mitologia diventa l’arte del bel scrivere.
Flora andrebbe a sposarsi con Mercurio e al centro ci sarebbe Venere che semplicemente suggellerebbe le nozze.
Quello che sembrava Zeffiro potrebbe essere il Furor (Follia) cioè l’ispirazione poetica della follia, che ispira lo scrittore (Platone l’aveva chiamata Divina Follia).
Ancora oggi non sappiamo in realtà cosa quest’opera volesse simboleggiare ma sappiamo che Botticelli era quasi un filosofo.
                                             –  –  –  –  –  –  –  –  –  –
E passiamo ora ad analizzare la tecnica .
Il quadro è una tempera su tavola e non c’è prospettiva;  Botticelli la rifiutava.
Infatti le figure sono proprio “appiccicate” contro il prato e contro il cielo.
Siamo in un periodo in cui ormai Firenze comincia a ritenere insufficiente la prospettiva brunelleschiana e a metterla in crisi avevano già cominciato Paolo Uccello e Filippo Lippi.
Botticelli dà l’ultima mazzata alla prospettiva e d’ora in poi si spingerà verso cose completamente nuove.
La prospettiva viene ritenuta un puro artificio che non rispetta la visione oculare.
Prende il sopravvento la linea; la notiamo bene nella faccia della Primavera e nelle Tre Grazie dove si vede bene la linea di contorno che forma i veli delle figure, i capelli, gli occhi di Flora, i denti; tutto è fatto grazie alla linea di contorno.
 Questa diventerà proprio una caratteristica della pittura fiorentina del ‘400 e del ‘500.
Bisognerà arrivare a Leonardo per sentir dire che non si può dipingere con la linea di contorno.
Anche le figure sono disposte formando una linea sinuosa che serpeggia da destra a sinistra.
C’è molta eleganza ma non c’è realismo.
I valori che esprime un quadro del genere sono l’aspirazione ad un mondo di bellezza e non ad un mondo reale.
Non c’è legame col mondo reale come per esempio avevano fatto Donatello e Masaccio che avevano reso attuali le loro scene.
Qui abbiamo un mondo al di fuori del tempo, fantastico.
 
Spero che vi abbia interessato anche perchè non ho finito! hahah vorrei analizzare dei quadri di altri periodi della vita di Botticelli e concludere su come  abbia cambiato atteggiamento nei confronti del pensiero del suo tempo.
Arrivederci alla prossima 🙂

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Sandro Botticelli e il Neoplatonismo

  • Oggi vi racconto del rapporto di Sandro Botticelli con l’ambiente culturale del suo tempo per poi, successivamente, capire meglio i suoi quadri.
               Buona lettura!
Sandro Botticelli (Sandro Filipepi 1445 -1510), visse nel periodo aureo della cultura fiorentina con Lorenzo il Magnifico (De Medici) ed è un periodo altissimo della storia culturale italiana anche perché alla sua Corte viene elaborata la corrente filosofica neoplatonica che farà di Firenze uno dei più importanti centri culturali di tutta l’Europa e influenzerà profondamente il Botticelli.
L’arte italiana in questo periodo va modificandosi anche per gli influssi dell’arte fiamminga e per per gli apporti di poeti come il Poliziano e di studiosi di scienze matematiche .
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Autoritratto del Botticelli

Il Neoplatonismo ha come massimo esponente Marsilio Ficino; questa corrente si rifà ad autori molto antichi : Platone e Plotino.
Nella filosofia di Platone (IV sec.a.c.) il concetto base è che il mondo terreno è una copia di un altro mondo che lui chiama Mondo delle Idee (in greco idea vuol dire immagine).
Secondo Platone anche gli oggetti , per esempio un banco è la copia di un altro banco, dell’idea di banco che è di là in un altro mondo; è un mondo che lui immagina al di là dei cieli e lo chiama Iperuranio, ed è una realtà che gli uomini non possono vedere con gli occhi, è un mondo in cui le idee sono perfette ed eterne mentre qui nel mondo la loro copia è brutta, si corrompe, è mortale, si distrugge e non dura.

Però, dice Platone, l’uomo c’è stato nel mondo delle Idee, non se lo ricorda ma la sua anima c’è stata perché, secondo lui, l’anima dell’uomo è immortale.
Nel momento in cui un bambino nasce, l’anima dal mondo delle idee si incarna ma quando la persona cresce gli tornano in mente dei flash di ciò che ha visto nell’altro mondo.
La conoscenza e il ricordo delle cose, secondo Platone, rimane, è innata;questo vuol dire che una persona sa cosa è il bene perché la vera idea di bene l’ha vista nell’altro mondo prima di nascere.
L’anima (copula mundi) è in mezzo al mondo terreno e al mondo delle idee perché passa incarnandosi in questo mondo e poi ritorna all’altro.
Platone diceva che c’è un mezzo che permette all’uomo di ricordarsi meglio, durante la vita, di tutte queste idee che ci sono di là: l’idea di bene, l’idea di bello, di giusto, di persona, di amore, ecc., ed è L’Amore, il così detto amore platonico.
Perché l’Amore è il percorso, per gradi, che fa elevare l’anima sempre di più, in modo che questa poi si ricordi i valori.
Platone ci racconta tutte queste cose in una serie di libri sotto forma di dialoghi. Quella più importante in cui si parla dell’Amore è Il Simposio in cui ci sono tutta una serie di personaggi che stanno banchettando e discutono sull’amore.
Uno di questi dice: “V i racconto una storia. In origine gli uomini erano a forma sferica ma poi gli dei per punirli li hanno tagliati in due e ognuno cerca sempre la sua metà con cui congiungersi.”
Questo, sotto forma di mito, allude alla continua ricerca della perfezione che c’era nel mondo delle idee.
Questo nucleo fondamentale viene ripreso qualche secolo dopo da Plotino (II sec. d.c.) che aggiunge alcune cose dicendo per esempio che lo scopo morale della vita dell’uomo è quello di tornare alla idea più bella, più pura, più perfetta di tutte e che lui chiama Uno.
L’uomo deve ritornare all’Uno, poi nel cristianesimo verrà chiamato Dio.
All’Uno si può tornare,come diceva Platone, attraverso l’Amore ma anche attraverso un’educazione al bello, alla musica, all’estetica e all’arte.
Quindi arte, musica e amore sono tanti gradini che aiutano l’anima dell’uomo a ritornare all’Uno.
Platone aveva dato tutti i cenni fondamentali e Plotino aggiunge l’idea di una specie di scala di valori che porta all’Uno.

A Firenze Marsilio Ficino fonda questa corrente neoplatonica che lui chiama PIAFILOSOFIA.
Pia perché non vuole andare contro il cristianesimo ma cerca di mettere insieme gli insegnamenti platonici e di Plotino con il cristianesimo; fonde l’antichità con il mondo cristiano.
Ficino rielabora queste idee e dice per esempio che le divinità del mondo antico come Venere, Marte, Mercurio ecc, simboleggiano i valori morali anche del cristianesimo; sono simboli di varie virtù.
Dice anche che c’è il Paradiso eterno e il mondo mortale.; l’anima è la copula del mondo quindi unisce questi due mondi.
L’anima è in mezzo al mondo di Dio e al mondo dell’uomo. L’anima può arrivare alla contemplazione di Dio. Dio è il vero bene o Uno , come lo chiamava Plotino.
Per arrivare alla contemplazione di Dio, l’anima deve elevarsi spiritualmente attraverso l’amore e la bellezza.
In particolare, la forza dell’amore che permette questa scala, è rappresentata dalla dea Venere ma, aggiunge Ficino, ci sono due Venere.
Una si chiama Venere Pandenia o terrena cioè l’amore carnale, il sesso; l’altra è la Venere Urania cioè Celeste.
In realtà queste due Veneri non sono contrapposte ma sono due stadi diversi: quella iniziale e quella finale dell’amore.

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